da DISTOPIC
"Se avete nostalgia per il De Andrè cupo, per il Cesare Basile più ispirato, per le ambientazioni desertiche e se nella vostra vita sognate uno Sciamano a disposizione, a portata di mano. Ebbene, allora Sopra il tetto sotto terra potrebbe fare al caso vostro, perché è un bel mix di cose vecchie e familiari, ma scritte e proposte con freschezza attuale.
I Morose non sono dei novizi, e forse l’esperienza e il non avere più grandi illusioni gli ha consentito di mettere a fuoco, dentro l’obiettivo, il percorso da seguire per arrivare a un disco maturo, intelligente, poetico, con dei testi che meritano di essere letti e non soltanto ascoltati.
Emanuela pedala veloce è il brano che ci è piaciuto subito, al primo ascolto: oltre 8 minuti di musica che danza seguendo parole gravide di significato. Anche Al banchetto della vita è un episodio che merita attenzione, così come Trallallero. Ma è tutto il disco a funzionare dall’inizio alla fine, proponendo un’idea di cantautorato che per una volta affonda sì le mani nel passato, ma senza fare il verso ai Maestri del genere, a conferma che quando i contenuti ci sono non è un peccato confrontarsi con un genere che è stato esaltato da penne sopraffine. Insomma, un disco che rapisce e culla, che fa riflettere e che ha delle parti di piano bellissime."
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da RADIOCOOP
"Il duo ligure composto da da Davide Landini e Pier Giorgio Storti ha alle spalle una lunga carriera discografica. Il nuovo lavoro è un viaggio tra le pieghe più oscure dell’anima, con una colonna sonora adeguatamente crepuscolare, prevalentemente semi acustica, che guarda tanto a Fabrizio De Andrè quanto a Nick Cave, al rigore di Cesare Basile, alle tonalità vocali di Mauro Ermanno Giovanardi, al groove malato dei Beasts of Bourbon, tra blues scheletrici e un vento che porta caldo e sabbia dal deserto. Suggestivo, profondo, intenso."
[Antonio Bacciocchi]


da INDIEPERCUI
" Suoni che provengono da un cantautorato capace di abbracciare sostanziali similitudini con la bellezza in divenire di De Andrè e il suo Non al denaro non all’amore nè al cielo raccontando di vicissitudini e vite vissute in un vortice terreno di amore tangibile. Dopo molti anni di assenza dalle scene torna Morose con un album capace di raccontare in modo lucido e a tratti ben definito una realtà costretta e imbrigliata nella morsa dei giorni che si muovono inesorabili per un insieme di canzoni che non passa di certo inosservato. La peculiarità del nostro sta nel riuscire a delineare in modo egregio e verosimile attimi di realtà vissuta, attimi che forse non torneranno più, ma qui raccolti in brani che hanno un sapore d’altri tempi, pur mantenendo una certa dose di modernità. Il cantautorato non è morto, anzi, è questa ne è la prova. Sopra il tetto sotto la terra sa concedere spazi e margini d’indipendenza, pur affondando con radici profonde nel nostro vivere. Da Forse Greta è partita davvero fino a E’ ora (di andare via) il nostro ci regala un disco ben arrangiato fatto di poesia e di speranza."
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da THE NEW NOISE
"Parte funesto (tutto ciò che era bianco ora è nero) il nuovo album del gruppo ligure dei Morose, con tremolo di chitarre e cantato deciso. Pier Giorgio Storti e Davide Landini si erano fermati giusto dieci anni fa con La Vedova D’Un Uomo Vivo, un tempo infinito se paragonato a questi tempi folli durante i quali un artista è capace di pubblicare anche due/tre album in dodici mesi; va aggiunto che i Morose hanno praticamente vent’anni di onoratissima attività sul groppone, e sempre sul filo dell’undeground più fiero. La loro è una proposta sostanzialmente cantautorale, con la dovuta attenzione ai testi e alla composizione. Le atmosfere e l’esecuzione, poi, sono da manuale. In fondo non si deve pretendere di più da questa piccola realtà che somiglia a un gruppo di artigiani che hanno l’esperienza necessaria per rifare, sempre meglio, le proprie canzoni; trovare in giro altri degni colleghi non è affatto semplice. Sbagliare È La Cosa Più Giusta Da Fare è una maudit-song degna dei migliori Bad Seeds, con la melodia che dà aria a un brano tetro, il titolo stesso è già emblematico ma corvi minacciosi e oscuri presagi aleggiano su tutto l’album. Fate conto di ascoltare i Black Heart Procession coinvolti in una session con Nick Cave, giusto per darvi un’idea, con l’aggiunta però di una sorta di romanticismo all’italiana, un tipo di sentimento colpevole, languoroso e non distante da una forma di compiaciuta perdizione. Chiude la calexichiana È Ora (Di Andare Via), ed è come assistere a dei classici titoli di coda di un film in bianco e nero passato in televisione a notte fonda.
È l’alba ormai, il sole è nuovo come ogni giorno, ma per i Morose quel sole corrisponde al buio. "
[Maurizio Inchingoli]


da ROCKIT
" I Morose se ne fregano del mercato: "Sopra il tetto sotto terra" è un album di ballate cantautorali con poche parole e lunghe parti strumentali. Per la precisione si tratta di nove ballate abbastanza classiche che, nel complesso, risultano molto omogenee: hanno tutte tinte noir e sono attraversate da suoni di chitarre, mellotron, farfisa, violoncello, harmonium, zither, balalaika, clarinetto, suling, piano e percussioni.
I Morose non ambiscono a essere diretti e incidono brani parecchio lunghi ma, anche mettendosi nella completa predisposizione d'animo all'ascolto, questa scelta fa nascere dei dubbi: la parte strumentali sono tutte assolutamente giustificate? Le ripetizioni dei versi e le "diluizioni" musicali aumentano o riducono l'efficacia dei pezzi?
Le parole dei brani sono evocative e potenzialmente poetiche ma la loro bellezza rischia di perdersi nella lentezza: trattandosi di testi per canzoni, potrebbero trovare una loro valorizzazione in un ritmo e in un'orecchiabilità maggiori. Ad esempio, se si leggono le parole - ironiche e persino quasi allegre - di "Trallallero" come fossero una poesia o una "filastrocca", si percepisce subito una forte musicalità che nel brano però si "allunga", si smarrisce e addirittura "spegne" il sarcasmo del testo.
Per chiarire il discorso: Fabrizio De André era un poeta, spesso ermetico, ma sapeva cantare le parole con linee melodiche che in molti casi restano in testa al primo ascolto. Anzi, forse la bravura del cantautore sta proprio in questo: trovare il modo più "orecchiabile" per trasmetterti un'emozione, per raccontarti una storia, per lasciarti un messaggio.
Per capire il disco del duo ligure, quindi, bisogna essere dell'umore giusto e apprezzare il genere, che è completamente decontestualizzato dal panorama contemporaneo tutto ritmo e raffiche di parole. Perché, come dicevamo, i Morose se ne fregano del mercato: è lecito, è giusto ed è apprezzabilissimo, se il risultato finale non sacrifica l'ascoltabilità complessiva.
Sono solo in due e hanno già dimostrato di avere un'identità, un immaginario e grandi capacità: se non sono dei kamikaze, con i progetti futuri i Morose potranno arrivare a molte persone e potranno stupirci con canzoni bellissime. "
[Francesco Carrubba]


da MICSUGLIANDO
"L’avventura dei Morose inizia a La Spezia nell’agosto 1998 con la registrazione casalinga dell’omonima cassetta contenente un lo-fi sgangherato e irrazionale che viene pubblicata dalla Ouzel Records. Dopo numerose registrazioni amatoriali (spesso vendute in semplici Cd-Rom), partecipazioni a varie compilation e la pubblicazione dell’EP Love Is A Swindle, il gruppo riesce a pubblicare il primo LP La Mia Ragazza Mi Ha Lasciato (2003) che riceve ottime recensioni come stupendo album di Lo-fi sulle orme dei Sebadoh, Black Heart Procession e Smog. In effetti lo stile del gruppo si segnala per le loro armonie claustrofobiche, scarnificate ed elegiache, anemiche ed abuliche: una serie di tratti che lasceranno l’impronta nei lavori successivi. Il gruppo pubblica poi People Have Ceased To Ask Me About You (2005), On The Back Of Each Day (2006) e La Vedova Di Un Uomo Vivo (2009) che segna il passaggio all’italiano per i testi.
A questo punto la line-up si stabilizza come duo formato da Davide Landini (voce, chitarra) e dal polistrumentista Pier Giorgio Storti (organo, harmonium, zyther mellotron, clarinetto, violoncello, piano, percussioni). Seguono l’EP Dell’Amore E Dei Suoi Fallimenti (2013) e la raccolta La Bygone Era (2014), una serie di registrazioni del periodo 1998-2004. Nel frattempo il gruppo ha un’intensa attività live che li vede impegnati in frequenti tour in Italia, Francia Belgio, Lussemburgo e USA. Dopo un periodo di stasi in cui i due si dividono (uno va a vivere in Usa e l’altro a Singapore), il progetto riprende vita nell’estate del 2018 e le registrazioni danno vita all’ultimo album che esce il 26 aprile del 2019 con il titolo di Sopra Il Tetto Sotto Terra per la Ribess/Under My Bed. Sotto l’egida di un cantautorato ascrivibile alla corrente del weird folk (con citazioni tanto di André e del primo De Gregori quanto di Elliot Smith e Bonnie Prince Billy) la cifra stilistica del nuovo album è la somma della divisione dei ruoli dei due strumentisti. Il sound dei Morose è sostanzialmente puntellato da due elementi. Da una parte la chitarra si esibisce alternativamente in un country western desertico (con tracce di Morricone) tenebroso, barocco e maestoso, sovraccarico di pulsioni omicide ed esoteriche che ne fanno il veicolo di una sfibrante corsa verso l’autodistruzione oppure in un lo-fi malinconico, ermetico ed esistenzialista che perfeziona la carica drammaturgica delle parti cantate. Dall’altra parte le tastiere suonano in sottofondo, quasi in sordina esibendosi in textures oniriche, minimali quasi impressioniste che si infilano negli interstizi melodici. Questo processo attraverso il quale viene costruita la canzone perfetta riempiendo la stasi e l’astrattezza della linea melodica non è meno inquietante di ciò che lo contiene, disegnando così un arido paesaggio spettrale immerso in una calma di morte. Il risultato ottenuto supera le premesse e i riferimenti semantici di base (in pratica Gun Club, Smog e Labradford) per assumere forme solenni che possono competere col classicismo desolato e claustrofobico dei Van Der Graaf Generator (e ancor più col solipsismo tormentato dei lavori solisti di Peter Hammill) coniando un idioma che si spalanca in abissi di paura e disperazione, a cui vengono aggiunti sovratoni di pathos ed epos. Il tetro rosario si apre con i desert rock lisergici di Forse Greta E’ Partita Davvero, di Sbagliare E’ La Cosa Più Giusta Da Fare, della title-track e con la filastrocca oscura di Trallallero cantata come un sortilegio per sublimarsi nella serenata folk lenta e scarnificata di Emanuela Pedala Veloce (abbellita da un passaggio di violoncello alla Rachel’s) e nella ninnananna con cadenze da incubo per chitarra, mellotron ed archi di Al Banchetto Della Vita e chiudersi delicatamente nella sonata astratta per piano ed archi di Col Suo Sorriso Costanza e nel lied cameristico di E’Ora per chitarra, clarinetto e violoncello che si evolve in una novelty da fiaba dell’orrore. Con questo lavoro i Morose hanno inventato una forma-canzone costruite su atmosfere iper-depresse per litanie sonnambule che sono altrettanti cataloghi di orrori quotidiani, sviluppando altresì una poetica che si culla nell’ebbrezza dell’inedia e del languore e così esprimendo il profondo senso di angoscia di chi è obbligato a vivere in un mondo che non ama."
[Alfredo Cristallo]


da MESCALINA
"Vi presentiamo i testi di un album dalla bellezza maestosa e minimale, oscura e dolce, malinconica e carezzevole, un disco dai suoni folk "desertici" ed eleganti che racconto fughe e speranze disperate, la fragilità della felicità e l`importanza di essere sé stessi, a costo di essere giudicati per quelli che ad altri sembreranno sbagli.
A dieci anni dal loro ultimo album tornano i Morose, oggi duo composto da Davide Landini e Pier Giorgio Storti; Sopra il tetto sotto terra (Ribèss Records) propone un folk desertico molto a stelle e strisce, elegante e notturno, minimale e suggestivo, cupo e delicato; si tratta di un gioiellino evocativo di suoni scarni e misurati, intensi e raffinati, talora cangianti e malinconici, altre volte più quieti e quasi carezzevoli, pure nella loro densità di ombre e chiaroscuri. Gli ascoltatori sono catapultati tra momenti strumentali di una drammaticità lirica e asciutta, suoni incantati e tristi, dentro il cuore di una bellezza pensosa e impalpabile, terrena ed eterea, da un disco maestoso ed essenziale. Oggi vi presentiamo i testi del lavoro, in cui ci si imbatte in fughe per salvarsi, non importa quanto lunga sia la strada, e fuochi interiori; si ricordano la speranza di andare incontro alla luce, anche se non ci saranno eroi ad aiutarci, la fragilità e caducità della felicità, la facilità con cui si giudica e si pretende di indicare a tutti cosa sia bene e cosa sia male, anche se la vita non si insegna e non si impara e ci sono sbagli che è giusto fare per restare e vivere sé stessi nella propria imperfezione.

Ecco qualche notizia su come è nato l’album e come viene presentato:
Sopra il tetto sotto terra nasce dalla distanza, nella distanza. Nell`estate 2016 Pier Giorgio si trasferisce a Singapore, ed il progetto Morose continua svilupparsi per corrispondenza e nelle sessioni che hanno luogo in occasione dei suoi saltuari rientri in Italia. È nell`ultima di queste sessioni, nel gennaio 2018, che vengono alla luce i primi brani del disco; poi, da fine estate, con il suo definitivo ritorno in Italia, i ritiri nel casolare di Casesa (Sp) si fanno più frequenti. Qui, nelle colline che si affacciano sulla vallata del Magra, prende forma e viene registrato l’album. Il verso di René Chair che lo apre è citato da Michel Foucault nel suo Storia della Follia nell’Età Classica e viene trasformato in un’esortazione, un invito a «sviluppare la nostra legittima stranezza/estraneità». Nella dialettica tra individuo e società è necessariamente implicita una componente di violenza a cui tutti noi, seppur in misura diversa, siamo soggetti. È dai tentativi, talvolta tragici, eroici, o ironici, dei protagonisti dei testi di difendere la propria identità che scaturisce la poesia che attraversa tutto il disco. È nelle loro storie che la musica determina improvvise epifanie, malinconiche fughe, tumulti di protesta e speranze disperate.
Il disco è stato suonato interamente da Davide Landini (voce, chitarra classica) e Pier Giorgio Storti (chitarra elettrica, mellotron, farfisa, violoncello, harmonium, zither, balalaika, clarinetto, suling, piano, percussioni) e registrato dagli stessi. Il mastering è di Andrea Denittis (Ratafiamm, deNITTIS), la produzione di Ribéss Records e Under My Bed Recordings, le immagini di Riccardo Tedoldi (che collabora con il gruppo sin dal 2002) e il layout di Patrizia Casadei."
[Ambrosia J. S. Imbornone]


Intervista sul blog dell'ALLIGATORE