da ONDAROCK
"Lebenswelt è il nome del progetto solista di Giampaolo Loffredo, nato nel 2003 dalle ceneri dei Joy of Grief con l'idea di un deciso cambio di direzione compositiva. E' così che la sua musica vira decisa verso quella evocativa fotografia di copertina, spiccando il volo oltre un cielo grigio e plumbeo; è proprio la malinconia di quelle nubi ad accompagnarlo in questo catartico percorso di scoperta, la stessa malinconia di un viaggio in automobile scandito dalla pioggia, mentre si contempla la campagna appena fuori dal finestrino che viene modificata dall'irrequieto pointillisme delle gocce in movimento. Già il nome scelto da Giampaolo dovrebbe suggerirci la strada intrapresa: si tratta di un neologismo coniato da Husserl nel 1917 che sta a indicare il "mondo della vita", ovvero quella dimensione che vede la natura come una correlazione necessaria tra il nostro "io" e l'ambiente circostante. Un discorso che contiene in sé, dunque, anche quella che forse è la componente più importante nei dischi di Lebenswelt: l'empatia della musica come un linguaggio universale; un'idea molto intima e profonda, che si ricollega a quella del filosofo Arthur Schopenhauer, secondo cui essa rappresenta l'essenza stessa della nostra esistenza. Con tre ottimi album all'attivo - "Staring At Life In The Rain" (2003), "Out Is The Cow" (2004) e "Corners Of A Drowning Faith" (2006), che comprende anche un'importante collaborazione con Andrew Richards - dopo dieci anni Giampaolo Loffredo è tornato in punta di piedi con "Shallow Nothingness In Molten Skies", disco col quale si conferma un abile e sensibile argonauta della psiche umana, esplorando una sorta di ancestrale nostalgia collettiva. In quest'ottica filosofica della Lebenswelt, ognuno porta infatti in dote il suo mondo "privato" agli altri, creando una sorta di primordiale e ideale "compresenza". La ricerca dell'universalità passa attraverso quello che è il vello d'oro di Giampaolo, ovvero un cacciavite infilato tra le corde della chitarra, capace di creare suoni diversi ma sempre lenitivi; suoni ben lontani, per esempio, da quelli nevrotici dei Sonic Youth che usarono lo stesso espediente nei primi album. Questa nostalgica colonna sonora non può che cominciare con le parole della poetessa del dolore per antonomasia, Sylvia Plath, la cui "A Life" viene tramutata dolcemente in musica in "Intro/A Grey Seagull", con voce apatica e distante. Melodie ossessive ed estranianti permeano il background, diventando talvolta quasi un mantra ripetuto, come nel caso della title track, in cui testo e strumenti lavorano perfettamente in simbiosi. Un minimalismo di fondo che si traduce anche nelle liriche brevi, ma di grande impatto: "Just Like Rain" sembra così evocare nei suoi riverberi quelle gocce di pioggia sul finestrino, che cadono lentamente fino a sfiorarsi o dividersi, trovando una certa analogia con l'esistenza umana ("just like rain/ falling down/ just like everything else/ you're falling apart"). L'album prosegue in maniera scorrevole con "In Her Bad Thoughts" e "Shame For What I Have Done", arricchendosi talvolta di sfumature elettroniche, ma sempre sotto il segno di uno slowcore piuttosto raffinato, che ricorda - almeno negli intenti - le parabole opprimenti e spettrali degli Hood e dei Labradford. I paesaggi annichilenti dell'era post-fordista sono poi i protagonisti del sad-folk di "Land" e "Lost", in particolare la seconda incarna perfettamente lo smarrimento dinanzi a un mondo ormai prodotto in serie, in cui è difficile immedesimarsi. Per il finale, non resta che oggettivare la propria sofferenza e contemplarla dall'esterno: Giampaolo rispolvera così le parole di T.S. Elliot e della sua omonima poesia in "The Love Song Of J. Alfred Prufrock", travasando nel suo componimento sonoro sia l'incomunicabilità dei sentimenti umani ("It is impossibile to say just what I mean"), sia lo spleen del poeta statunitense, che si rivolge a un destinatario non specificato, quasi assente. Nella coda finale, la traccia pare proprio focalizzarsi su questo aspetto ("there's silence in your answers"), in quello che tuttavia assomiglia più a un soliloquio che a un dialogo: è l'ineluttabile destino di ogni poeta, che osserva il male del mondo ma si ritrova incapace di agire. Lo diceva ancora meglio Emil Cioran: "Possiamo vivere come vivono gli altri e tuttavia nascondere un no più grande del mondo: è l'infinito della malinconia". Il progetto Lebenswelt è senza dubbio un nome da tenere d'occhio, in quanto "Shallow Nothingness In Molten Skies" convince a ogni nuovo ascolto e dimostra, oltre a una grande personalità artistica (e umana), anche una dimensione internazionale davvero difficile da trovare musicalmente nella nostra penisola"
[Valeria Ferro]


da SYSTEM FAILURE
"Oggi vi presentiamo il progetto musicale dal nome Lebenswelt, in occasione dell’uscita dell’ultimo disco, Shallow nothingness in molten skies distribuito dall’etichetta Under My Bed Recordings. Lebenswelt è un progetto musicale di Giampaolo Loffredo, progetto musicale che offre atmosfere malinconiche e contaminazioni d’un post-rock suonato con il passo lento. System failure ha ascoltato Shallow nothingness in molten skies con molta attenzione e quelle che seguono sono le nostre considerazioni a riguardo. Shallow nothingness in molten skies propone sonorità profonde, ampie, stupendamente malinconiche e a tratti anche angoscianti. L’elettronica compare qua e là e contribuisce alla resa di un sound complessivo davvero interessante. I muri sonori sono talvolta penetranti come lame di coltello e tendono a trapassarci il petto con la loro profondità e spessore artistico. Lebenswelt mira a suggestionare l’ascoltatore con una tensione palpabile verso l’irraggiungibile. Avvertiamo questa tensione e ce ne innamoriamo perdutamente: ci porta verso l’abisso, ci porta verso l’ignoto, ci porta nei meandri della nostra mente. Le melodie di Shallow nothingness in molten skies sono spesso soffici e ci arrivano come carezze vellutate. Poi ci sono sonorità a volta ossessive e pungenti, ci sono chitarre dolci, ci sono pulsazioni tenere che arrivano come bagliori nella penombra. Il sound di questa opera è testimone di una ricercatezza sonora maniacale, ricercatezza sonora che ha il sapore della magnificenza, della grandezza, di un talento fiammante. Usando poche parole concise, la particolarità di Shallow nothingness in molten skies risiede nello sforzo titanico di "andare nell’oltre". Cosa c’è nell’oltre? Ascoltate questo album e lo saprete Lebenswelt è oltremodo capace nel mostrarci l’indefinito, l’inconoscibile, è oltremodo capace nel disegnare i tratti di una bellezza metafisica e trascendentale. Le canzoni di Shallow nothingness in molten skies sono come dei diari psichedelici, delle istantanee di un viaggio surreale ed onirico.Quindi, come non ospitare Lebenswelt su System failure, luogo dove si conferisce tanto valore e pregio a chi cerca di spingersi nell’oltre e nel fare questo abbandona le catene che ci legano alla fangosa materia. Allora voliamo alto come l’albatro di baudelairiana memoria con Lebenswelt, sospinti in avanti dall’anelito per la libertà e per la verità."
[system failure]

also read an interview: Lebenswelt on Lebenswelt @ System Failure


da Music Won't Save You
"Mentre l’ampiezza dell’offerta musicale in circolazione comporta una costante ricerca ai quattro angoli del globo, può avvenire che proposte sorprendenti si celino proprio dietro l’angolo, dove la passione autentica torna ad alimentarle dopo tanti anni di silenzio. Capita così di intercettare, grazie a una coincidenza acutamente ricercata, un disco denso di pathos e poesia che risponde all’immaginifico titolo di Shallow Nothingness In Molten Skies; ne è autore un musicista romano, Giampaolo Loffredo, che dal 2003 conduce in solitaria un progetto chiamato Lebenswelt, del quale ha da poco ripreso le fila dopo quasi dieci anni di quiescenza. Gli otto intensissimi brani del lavoro si muovono su coordinate affini alla temperie artistica delle origini di Lebenswelt, radicate in un periodo in cui dai recenti apici del post-rock si ricercavano vie d’uscite tali da assicurarne un rinnovamento, pur nella continuità delle suggestioni. La via d’uscita di Loffredo, lucidissima e ispirata, era ed è nella direzione di un rallentamento dei tempi unito alla scrittura di canzoni intrise di soffusa, placida malinconia, eppure non aliene da una latente tensione emotiva. Di tutto ciò e di altro ancora "Shallow Nothingness In Molten Skies" esalta i caratteri maggiormente in grado di toccare corde profonde; lo fa pennellando atmosfere umbratili attraverso soluzioni sonore al tempo stesso semplici e curate, costellate da chitarre languide, sfumate iterazioni di note e riverberi che avvolgono l’austero lirismo delle interpretazioni di Loffredo. Benché non manchino un paio di dolenti cavalcate elettriche, che confermano la cupa indole elegiaca dei God Machine di One Last Laugh In A Place Of Dying già suggerita dalla title track, il pathos dei brani resta sempre controllato, avvinto in un lirismo contemplativo popolato da scorci crepuscolari e abissi di malinconia placidamente assaporata, nei quali ai testi di Loffredo si affiancano in maniera tutt’altro che forzata i versi di Sylvia Plath con i quali il lavoro si apre e quelli di T.S. Eliot, con i quali si chiude con una coda pianistica degna dei migliori Black Heart Procession. Oltre le originarie definizioni di post-rock e slow-core, Shallow Nothingness In Molten Skies è un condensato di intensità e autenticità espressiva davvero raro, un album che fin dalla sua bella confezione in carta riciclata denota poche pretese ma tantissima anima, che è un piacere ulteriore (ri)trovare proprio dietro l’angolo."
[Music Won't Save You]


da The New Noise
"Il campano Giampaolo Loffredo è un musicista piuttosto appartato che però conosce bene l’underground di casa nostra, avendo frequentato il giro dello spezzino Luca Galuppini (degli oscuri ONQ). Shallow Nothingness In Molten Skies è il suo ritorno, dopo qualche anno di stop (l’ultimo album, Corners Of A Drowning Faith, risale al 2006) ed è l’ennesima conferma di una forma di pop chitarristico lieve ma intrinsecamente profonda e malinconica, di chiara matrice americana. Lo confermano le passeggiate lente ed inesorabili di Just Like Rain e Land, la ieratica In Her Bad Thoughts, ma è tutto l’album a risultare umbratile nelle atmosfere (ad esempio in Lost) e narcolettico nel suo incedere. Per chi ama osservare il mondo da una finestra senza farsi notare"
[Maurizio Inchingoli]


da Distorsioni
"Dietro il moniker di Lebenswelt (mondo della vita) si cela Giampaolo Loffredo, cantante e polistrumentista che con questo "Shallow Nothingness in Molten Sky" giunge ormai al suo terzo disco. Già l'accurato artwork lascia intravedere i territori nei quali stiamo per addentrarci; colline sovrastate da nubi plumbee tra le quali del Sole permea soltanto un bagliore. Luoghi di profondo spleen dove l'incantesimo dei fiori del male sembra rendere impossibile spezzare una tensione emotiva che, mista ad una vena malinconica, pervade l'intero album, complici anche le poesie di Sylvia Plath e T.S. Eliot. Loffredo ha fatto propria quell'intimità tormentata espressa prima di lui da band come Codeine, The God Machine e Sophia, ed in piccola parte anche da Slint e The For Carnation, fino ad arrivare a quel particolare nichilismo tipico dei Joy Division. A differenza però dei nomi appena citati, sembra che nella musica di Loffredo non traspaia mai, tranne che in rare eccezioni, l'intenzione di creare dei momenti di risoluzione nei quali potersi liberare, quasi che il processo richieda una dose ancora maggiore di dolore che potrebbe spezzare definitivamente l'anima. Giampaolo Loffredo dimostra di possedere buone qualità di songwriter e probabilmente non guasterebbe alla sua cescita artistica un pizzico di personalità in più. A lui va senza dubbio il plauso per aver composto, suonato, registrato e missato l'album da solo e con degli ottimi risultati, cosa non da poco. Da tenere sott'occhio. "
[Aldo De Sanctis]


da NEWSLY
"Per entrare nel mondo sonoro di Giampaolo Loffredo aka Lebenswelt, che aveva esordito con “Starting at life in the rain” nel 2003, bisogna farlo con delicatezza, come svegliandosi dopo una notte di sonno ristoratore o mentre già si sta ballando un lento con il proprio amore e tra un pezzo e l’altro arriva questo bravo musicista e cantante con le sue pose leggere e le sue movenze morbide. L’inizio del disco “Intro/ A Grey Seaguli” è come un vento leggero che scuote una lastra di metallo che diventa voce. La direzione della melodia viene guidata dal piano e la voce scandisce la stessa frase come una sentenza: un rintocco inoppugnabile ordinato dal tempo. La title track tesse le trame di un progetto che guarda al futuro ma nel frattempo si contorce nei suoi dubbi: se poi andrà male? se poi non sarà come ce l’aspettavamo? Sembra questo lo stato emotivo estrapolato. La musica sembra salire su di una scala a chiocciola che però non è stabile e così ci si ritrova a trovarsi in aria librando. Gli impatti sul suolo non sono contemplati tra queste trame compositive e per questo si continua in un clima soffice, ondulato. I suoni si fanno più intensi e drammatici in “Just Like Rain”, dove ci si può perdere lasciandosi andare e ritrovare per similitudini, come quando ci si rincontra dopo tanti anni con un amico e si ritrovano le stesse dinamiche. Parafrasandolo, come la pioggia che viene giù ci si lascia cullare dal suo ritmo. In “In Her Bad Thoughts” ci sono delle assonanze con gli Arab Strap per la voce e l’atmosfera. La batteria nella parte finale della canzone interviene e sembra chiamare a sé gli altri strumenti che si uniscono in una danza noise strumentale e pacata. “Shame for What i have Done” inizia con gli archi che si abbracciano e si raccontano di quanto stanno bene in armonia. Entrare in un mantra di auto coinvolgimento per prendere coraggio e così farsi forza, cercare il giusto equilibrio e rimanere lì, però, come catturati. “Land” con la chitarra che fa la voce ‘grossa’ e si impone per farsi seguire dagli altri. Una volta avuta l’attenzione mostra la sua purezza e la drammaticità della sua storia viene accentuata dalla voce, quasi rotta dal pianto. “Lost” ha al suo interno l’unica distorsione noise del disco e diventa melodica anche quella, riportando la serenità tra le trame. E infine Lebenswelt chiude il disco cantando la poesia di T. S. Elliot “The Love Song of J. Alfred Prufrock” con queste sfumature anglosassoni nell’accento che gli ascolti del rock inglese ci hanno reso familiari e la canzone diventa, proprio per la voce elegante e per la musica a goccia malinconica, interpretata dalla chitarra ipnotica con un finale al piano e canto da sirena con un effetto ad hoc. Da tenere d’occhio.
[Francesca Ognibene]